QUESTA PIAZZA NON È L’OTTA PER TUTT3

Date comandate e piazze spettacolari tra performatività e omertà di movimento

È ormai innegabile che l’8 marzo si stia trasformando sempre di più in una una “data da corsa“, corsa nella quale viene strumentalmente dimenticato quanto la performatività – intesa come estetica delle forme e delle tempistiche sia deleteria. Si badi bene, non vogliamo qui sostenere che tutte le piazze siano oggi solo un siparietto ben orchestrato, riducendo così lo sforzo di tantз compagnз, ma non possiamo restare a guardare mentre queste si popolano di ipocrisia e spettacolarizzazione: potremmo essere tacciatз di essere “dure e pure” ma non si tratta di escludere, la politica securitaria e giustizialista non rientra tra i nostri interessi. Si tratta di riflettere, ascoltare, di posizionarsi e di agire, non per estetica ma per amore. Ed è per questo che non possiamo più mettere a tacere le nostre riflessioni, perché sappiamo di non essere lз unichз a non sentirsi più rappresentatз da queste piazze.

 

Siamo chiaramente lontanз dai primi anni della rinascita dei movimenti tranfemministi nazionali, dalla loro portata rivoluzionaria che esplose come momento di ripresa delle coscienze collettive, di volontà di estendere la sorellanza, di ribellione al destino patrariacale. Troppo spesso sentiamo di aver perso pezzi, fallendo nel perseguire obiettivi comuni e condivisi, cadendo nello sguardo occidocentrico bianco e patriarcale. Troppo spesso in cerchi e assemblee abbiamo sentito parlare dei casi di violenza come di qualcosa di troppo grande da gestire, da delegare sempre ad altrз ritenutз più prontз e preparatз, in una sorta di resa collettiva rispetto alla possibilità di generare teorie e prassi di contrasto alla violenza di genere.

Il frutto di queste mancanze è un grande scollamento, che diventa palpabile nei grandi appuntamenti politici, ormai svuotati della loro portata rivoluzionaria. Sono rimaste solo date dietro le quali nascondere ritualità alienanti, automatizzate, imposte da un certo ordine gerarchico che si è confiugarato pian piano all’interno delle assemblee e di tutti quei momenti di costruzione della piazza. Nelle collettive, nei nodi locali, si assiste ciclicamente a un “effetto a fisarmonica”: le assemblee, le cene, gli eventi di auto finanziamento si popolano all’approssimarsi della data e, una volta calate le luci della ribalta, allo stesso identico modo, si svuotano. Eventi ripetitivi e saturi di slogan non riescono a creare un vero legame con le istanze che portano avanti, e falliscono nel creare una vera comunità. E così, il fervore che accompagna la preparazione della discesa, si perde all’indomani dell’8 marzo.

Le nostre piazze, specchio del movimento, soffrono di dinamiche di accentramento del potere: i nuclei centrali delle assemblee, nonostante le premesse sull’orizzontalità, finiscono veramente troppo spessoper non dire sempreper riprodurre dinamiche escludenti e, oseremmo dire, nonniste, dove il “c’ero da molto prima di te” blocca l’afflusso del pensiero divergente, se non formalmente, di certo sostanzialmente.

Il privilegio di stare in piazza non è più una questione di fondamentale importanza soltanto quando riguarda il tempo a disposizione, lo status sociale ed economico, la condizione di abilità, ma va indagato anche internamente, rispetto ai protagonismi e alle prevaricazioni che puntualmente replichiamo all’interno degli spazi transfemministi.

 

Le nostre date diventano copioni già visti, in cui la “costruzione” della giornata sembra esaurirsi in una organizzazione logistica meramente materiale, in cui lo sciopero non ha pieno valore, in cui regnano sovrani i rapporti interpersonali, in cui si chiude perfino un occhio alla presenza di abusers in piazza se contribuiscono al quieto vivere e a reggere lo status quo e a fare numeroCosì, ad esempio, si accetta la presenza di chi politicamente ha deciso di non affrontare le violenze perpetrate all’interno dei propri collettivi, in nome di un obiettivo politico superiore eletto all’occorrenza, come la violenza di genere o la resistenza antifascista (di cui oltretutto ci si ricorda solo nei casi di clamore mediatico o per sfruttarne la sua portata simbolica e spettacolarizzante). La sigla tenuta ben stretta come vessillo di potere e visibilità, le mosse politiche studiate e i calcolati intrecci con questa o quell’altra collettiva per utilità: poverз illusз coloro che hanno creduto che le logiche di asservimento e convenienza appartenessero solo alla politica istituzionale!

 

Abbiamo voglia di stare in piazza, ma non di attraversare luoghi in cui la diversità di pensiero rappresenta motivo di esclusione. 

Abbiamo voglia di stare in piazza, ma non tolleriamo più di scendere a patti con spazi e comunità terribili e complici della violenza patriarcale.

Abbiamo voglia di stare in piazza, ma senza che lз nostrз compagnз debbano restare a casa, per evitare di incontrare il proprio abuser, vittorioso in prima linea.

Se chi ci legge ha attraversato qualche assemblea, riconoscerà subito i meccanismi a cui facciamo riferimento, meccanismi sui quali speriamo si apra una riflessione profonda, necessaria seppur scomoda, come già successo a seguito degli altri articoli e delle denunceNon vogliamo piazze numerose per vedere il nostro logo o la nostra faccia su un post, su una pagina di giornale: vogliamo piazze vissute, radicali e coerenti. Un tempo portare nelle piazze e nelle strade i nostri corpi, costretti all’omologazione dell’ordine sociale e poliziesco, era un atto irruente, fortemente oppositivo allo schema dominante e, oltre a essere una forma di protesta, si configurava come un atto di aggregazione, di solidarietà e sorellanza transfemminista. Gli spazi pubblici, le strade, le città, diventavano finalmente “a misura” di donne, frocie, trans, queer e meticcз, rendendosi attraversabili per tuttз lз soggettività dissidenti. 

Vogliamo tornare a scendere in piazza e sentirci potenti, vogliamo la consapevolezza che un cambiamento radicale è ancora possibile, che non scenderemo mai a compromessi con la violenza patriarcale. Riprendiamoci i nostri spazi e le nostre lotte.

 

 

-ReST