Volete estirpare la violenza di genere? Iniziate dai vostri collettivi
Dopo l’ennesima denuncia da parte di una compagna che ha subito violenza di genere da parte di un uomo del CUA (collettivo universitario autonomo) è arrivato il momento di rompere il muro di omertà su chi da anni è artefice o complice della violenza agita da parte di “compagni” all’interno dei collettivi di Bologna. Con questa azione facciamo esplicitamente riferimento al CUA, stanch3 della loro retorica ipocrita, che si fa vanto di portare avanti la lotta transfemminista, appropriandosene – proprio come fanno le istituzioni – ma che non fa nulla per dare concretezza a un lavoro di reale decostruzione e di indagine sul perché, da troppo tempo ormai, ci siano così tanti casi di violenza all’interno dei suoi spazi. La violenza agita non solo non viene riconosciuta, ma la comunità attorno protegge chi stupra e lo tiene al suo interno, ed è disposta a tutto per difenderlo purché non venga infangato il nome del collettivo.
Si continua a coprire chi agisce violenza mentre si usano le nostre istanze per ripulirsi l’immagine, ad esempio sfruttando date come il 25 novembre e l’8 marzo e svuotando di significato le nostre parole e i nostri slogan.
Questa appropriazione non ci è nuova. Come Stato e Polizia usano e strumentalizzano le nostre parole, allo stesso modo voi del CUA, che tanto vi proclamate antagonisti, non fate altro che reiterare le stesse modalità di oppressione.
Non siete un presidio di opposizione all’università, ne siete solo il riflesso.
Al di fuori delle date comandate, gli stessi compagni che millantano di essere transfemministi, non si fanno scrupoli a cacciare lɜ compagnɜ che chiedono di intraprendere percorsi di autocoscienza e consapevolezza rispetto alle molestie agite, che chiedono di allontanare chi violenta, di denunciare chi da anni costruisce la propria insulsa immagine di “compagno di movimento” sulla pelle delle survivor.
Oggi, 25 novembre, non possiamo restare zitt3 di fronte all’ennesimo caso di violenza subita e rimasta taciuta dentro al CUA, che non tarderà a presentarsi nelle piazze in cui si denuncia la violenza che donne, trans* e soggettività queer subiscono quotidianamente. Una pantomima grottesca che vogliamo venga smascherata e riconosciuta, perché siamo stanch3 di abbassare la testa di fronte agli stupratori, per dire che sì, chi violenta abita in primis i nostri spazi, spazi che vogliamo safer. Vogliamo mandare un messaggio chiaro: chi agisce violenza di genere, chi stupra e i loro complici, non devono attraversare le nostre piazze e pretendiamo che i collettivi smettano di coprire chi continua ad agire violenza al proprio interno.
Non sono l3 compagn3 che svelano la violenza a dover avere paura o a sentirsi in colpa, non sono loro a dover rinunciare agli spazi di azione politica.
Vogliamo che gli abuser rimangano nei loro covi, che siano loro ad avere il terrore di attraversare le nostre strade, i nostri luoghi, le nostre manifestazioni, perché sappiamo chi siete. Voi vi chiamate compagni, noi vi chiamiamo uomini che stuprano e ”NON-comunità” che protegge.
Vi stiamo venendo a cercare. Qualunque sia il collettivo che vi copre, non siete al sicuro.