CADE LA MASCHERA DI UN ALTRO SPAZIO OCCUPATO VIOLENTO A NAPOLI
Sono più di quattro anni che come compagne di Napoli nominiamo Mezzocannone Occupato come spazio violento, dalla struttura patriarcale e omertosa. Sono più di quattro anni, che siamo costrettɜ a vedere il viso di un uomo violento farsi portavoce delle nostre lotte, venire chiamato “compagno transfemminista”, portare con fierezza i nostri striscioni privandoci effettivamente del nostro diritto di scendere in piazza, se non al costo di sentirci in pericolo.
Se a rendere gli spazi safer è chi li attraversa, la retorica di Mezzocannone in questi anni è stata che “i panni sporchi si lavano in famiglia”, ma a noi i panni piace lavarli in piazza, proprio dove loro continuano a portare stupratori, violenze, prevaricazioni, bullismo e omertà.
Oggi quindi non risparmiamo nulla a una comunità violenta che ha agito e poi negato violenze fisiche e psicologiche, che ha abbandonato le survivor (all’epoca dei fatti oltretutto minorenni), che ha promesso di prendersi carico di un allontanamento che non è mai avvenuto, che non si è fatta alcuno scrupolo a minacciare di morte le compagne, a mettere le mani al collo, a chiudere a chiave le stanze dove si consumavano violenze psicologiche e fisiche.
Lɜ compagnɜ di Mezzocannone Occupato qualche mese fa, in risposta a una lettera dove venivano accusatɜ sotto gli occhi del movimento, hanno osato definire la denuncia in questione un “atto meschino”, “vigliacco”, con modalità “inquisitoria, questurina”, “infame” perché non prevedeva confronto e ricorreva “al gossip e al pettegolezzo”.
Nessun riferimento alla violenza nominata, ma solo la colpevolizzazione delle compagne che hanno alzato la voce senza sottoporsi all’ennesimo confronto nascosto e inutile.
Queste accuse infatti hanno già attraversato i cerchi di Mezzocannone più di quattro anni fa, e lì le survivor erano state costrette a confrontarsi con il loro abuser che, con lacrime da coccodrillo, aveva promesso di lasciare loro lo spazio di guarire, come fosse una gentile concessione del compagno violento.
Dopo piú di quattro anni possiamo dire che era solo un modo per zittirle: non è passato un giorno senza che lui occupasse i nostri spazi politici, e usare la giustizia trasformativa come scusa per non assumersi la responsabilità è l’ennesima distorsione di uno strumento che dovrebbe essere di cura.
Nominare la violenza, lo ribadiamo, è un atto politico transfemminista.
Giudicare ed attaccare lo strumento e le modalità con cui la si nomina è reazionario. Questo è solo uno dei tanti comportamenti violenti di cui siamo a conoscenza tuttɜ da anni a Napoli.
A dispetto di alcune collettive napoletane che hanno preso posizione, la maggioranza degli spazi continuano ad assumere posizioni ambigue o addirittura a condividere piazze, comunicati e lotte politiche con Mezzocannone, come nel caso dell’Ex Opg, che in occasione delle lettere sopracitate chiese “una vera analisi ricostruttiva dei fatti per individuare pratiche e strumenti proporzionati da adottare (…) con l’ambizione di mettere al centro una tutela reale per tutte le persone coinvolte”. Addirittura si fa riferimento a ricostruzioni, prove, strumenti proporzionati, riproducendo le dinamiche dei tribunali di Stato
dov’è finito il “sorella io ti credo”?
Evidentemente si arriva a qualsiasi cosa pur di non prendere posizioni nette che potrebbero danneggiare gli interessi strategici e politici.
È tempo che tuttɜ sappiano, perché è il momento di spezzare questo ciclo di violenze, perché non accettiamo di vedere compagnɜ violentɜ all’interno di licei occupati, in strada o sui palchi, con il megafono in mano a farsi portavoce delle nostre battaglie.
E chiunque scenda in piazza con una comunità che sceglie come proprio portavoce un abuser,che nega e insabbia le violenze, deve sapere di star facendo una scelta politica e di starsi posizionando dal lato di chi nega le violenze.
Ci hanno accusate di voler indebolire la lotta nominando la violenza, ma a indebolire qualsiasi lotta sono le comunità violente che nascondono la violenza, minacciando, infantilizzando e sminuendo lɜ compagnɜ.
Non abbiamo bisogno di posizioni ambigue o neutre, non ci servono spazi violenti e macisti: vogliamo essere liber3 di attraversarli e alzeremo la voce per farlo.