P38, compagni di chi?

Riceviamo e diffondiamo
“Assumere un’estetica di sinistra – dal basso, compagna, perfino transfemminista – non può essere un lasciapassare per la promozione dell’ennesima narrativa misogina e la riproduzione di comportamenti machisti e abusanti.

Sentiamo il bisogno di ribadirlo a qualche mese dall’uscita dell’ultimo album della p38, un gruppo musicale che si presenta come radicalmente politico e rivoluzionario.
Infatti, se già con gli album precedenti si poteva intuire una zona d’ombra, forse liquidabile come ironica, relativa al machismo diffuso nel gruppo, con l’ultimo è stata ampiamente superata ogni – bassa – aspettativa: abbiamo assistito con rabbia all’estremizzazione inaccettabile di una retorica ipocrita in bocca a maschi cis che si appropriano del lessico e dei simboli della lotta transfemminista mentre sessualizzano, infantilizzano e sminuiscono le compagne e, più in generale, le persone socializzate donne.

Per inquadrare il tipo di discorso che contestiamo alla p38, raccogliamo qui sotto alcune delle barre dell’ultimo album riferite alle compagne (tristemente, rileggendo integralmente i testi, scoprirete che quelle non riportate sono  altrettanto agghiaccianti):

  • C’ha una cula da miss, mi chiede il bis / Baby, scusa, ma l’iPhone non prende
  • Ha una maglietta con una mia frase sopra / Scambiamo due parole, poi vuole starmi sopra (Dico di sì) / Mi dimentico di Gaza quando vedo te / Se ti spogli, fai rotolare le teste dei re
  • Io stinco di santo, le stronze in divisa / manette ai polsi, vuole una famiglia / No hablo tu lingua / Bimba, non mi si drizza, drizza
  • Non è colpa mia se tua figlia sta nei miei DM / Hotspot, y’aight, sono il punto caldo / Dentro di me c’è lava / il mio cazzo lo chiama Vesuvio (Splash) 
  • La mia bimba nel Labello nasconde un coltello 
  • Lei vuole farsi leccare da questa voce
  • La sua figa è il mio combustibile / no cazzo a donne pacifiche, balaklava, bucchini e crimine
  • La sua tipa è fuori casa, paga e dopo mi sbatte / Gliela lecco distratto, penso al colpo di Stato / Sono sporco del suo piscio come un cazzo di water
  • La sua pussy trema, theremin (Ah)
  • Lingua in bocca, poi il mio bro ti manda in Siberia (Ciao)
  • Sto da solo, zitta, scema
  • Baby, dammi un bel bacio (Muah, muah, muah, muah, muah) Ah / Ti mostro dopo quanto sono bello
  • Facciamo a gara a chi c’ha più DM (A gara) / Prima puta, vuoi sapere subito il mio vero nome
  • Mai fatto l’elemosina da qualche groupie / Al massimo qualche fan per riempire i buchi (Un paio, eh) 
  • Se vuoi fare la zecca, quanto meno falla meglio / se non parli di ferri, di certo non mi eccito (No, no, no) / Tu ti sei accaldata, ma per me è tutto sbagliato
  • Se c’hai l’ADHD, mica non puoi essere stronza

Che tristezza constatare che anche nell’immaginario “sovversivo” promosso dalla p38, il ruolo migliore che possono assumere le compagne è quello di oggetti sessuali o, volendo concedere un bel po’ di beneficio del dubbio, di soggetti tassativamente rispondenti alle fantasie dei “compagni” il cui piacere funge unicamente da medaglietta al valore maschile. O “bimbe”, o “groupies” – al massimo qualche fan per riempire i buchi (un paio, eh)che diventano numeri in una gara di dongiovannismo tra i membri della band: Facciamo a gara a chi c’ha più DM (A gara) – Prima puta. Intorno alle compagne, il lessico si fa pornografico e sembra strizzare l’occhio ai maschietti testimoni di una performance pre-adolescenziale di virilità. Tutto ruota attorno al fallo di chi canta, al suo piacere, alla sua approvazione o al suo disprezzo; le compagne sono irrimediabilmente ridotte ad appendici relazionali, ritrovandosi costrette in ruoli che vanno dalla loro “baby” alla loro ex. In alternativa alla sessualizzazione, le compagne che non servono a nutrire il loro ego non possono che essere stronze o ancora, per arrivare all’altro apice dell’infantilizzazione, sceme.
Mai compagne, mai sorelle.

Se i fan più affezionati potrebbero ingenuamente sperare che queste scelte linguistiche dipendano dall‘adozione della semantica trap, questa ipotesi è ampiamente smentita dal programma del gruppo stesso: la p38 ha sempre dichiarato di riprendere il genere per sovvertirlo e farne il portavoce di un immaginario di estrema sinistra, e ha effettivamente provato a farlo rielaborandone i vari tropi. Eppure, a restare invariato è proprio il tema della misoginia, fatta eccezione per lo spostamento dei canoni di feticizzazione verso un’estetica di movimento.
Tristemente paradossale, dato che il gruppo si brandizza tramite la rivendicazione, tra l’altro, della lotta delle compagne: basti pensare che nello shop della gang, per poco più di una ventina di euro, è possibile acquistare una maglietta che recita femminismo violento. Mentre riproduce una narrazione profondamente patriarcale, la p38 fa cassa con del merchandising che si appropria della lotta transfemminista.

Ci sembra interessante poi rilevare che la quantità di misoginia espressa dal gruppo è direttamente proporzionale al calo della qualità sovversiva” dei loro contenuti, probabilmente a seguito delle denunce ricevute in passato. In questo vuoto di significato sembra essere avanzato lo spazio per il disinvolto sfogo di virilità machista di chi cerca l’ebbrezza del potere mediatico, di visibilità e di successo.

Forse questa goliardica misoginia serve a colmare un vuoto dovuto alla mancanza di argomenti dirompenti e di contenuti significativi? Il fallocentrismo è quindi la soluzione all’horror vacui di una crisi creativa?
Oppure, sull’onda della visibilità mediatica recente, il gruppo sta cercando un successo più commerciale?
E ancora, la – seppur molto rara – narrazione non sessualizzante di sorelle e compagne e le critiche al patriarcato degli album precedenti erano solo strumentali e costruite ad hoc per assicurarsi un certo pubblico e il patentino di compagni

Non abbiamo dubbi, sarà stata proprio la profonda coscienza politica transfemminista del gruppo ad aver portato i membri a pubblicare fieramente una canzone intrisa di machismo fin dal titolo e dal ritornello che recita “zitta, scema”, come farebbe un qualsiasi trapper a-politico. Oltre a promuovere una narrazione riduttiva e svilente delle compagne, questa canzone riproduce e rivendica comportamenti sessisti e abusanti verso le stesse. Chiariamo una dinamica già chiacchierata: l’audio usato come outro alla canzone è stato estratto da una chat con l’expartner di uno dei cantanti, risalente a quasi quattro anni fa, e pubblicato senza alcun consenso o (almeno) distorsioni vocali.
Questa scelta, che potrebbe essere interpretata come una semplice dinamica relazionale e privata, è al contrario estremamente politica. Infatti, la violazione consapevole e rivendicata del consenso dell’ex-partner rappresenta un abuso di potere – basato sullo squilibrio di visibilità recentemente acquisita – che presuppone la riduzione di una persona socializzata donna a (s)oggetto sempre subalterno. Con una certa ipocrisia, la stessa p38 che ha cercato di criticare il revenge porn di cui sembra essere accusato il giudice del loro processo, ne riproduce le dinamiche condividendo materiali intimi e sensibili dell’ex-partner al fine di umiliarla pubblicamente. 

Le imbarazzanti scelte linguistiche disseminate in tutto l’album, dimostrano come il testo di questa canzone, così vuoto da sembrare unicamente strumentale alla pubblicazione del messaggio vocale, rappresenti in realtà l’apice di una tendenza della gang a sminuire e annichilire e le compagne, mai abbastanza compagne, mai abbastanza radicali, mai all’altezza dei loro gloriosi compagni e artisti. In una parola, sceme

Se la p38 desidera fare carriera sulla pelle delle compagne mentre rivendica il potere d’azione dell’immaginario sulla realtà, allora dovrebbe ammettere che quella scelta è una linea politica molto poco insurrezionale, strumentale, becera, macista e sicuramente non transfemminista.

Se vuoi fare il rivoluzionario, quantomeno fallo meglio.
Se c’hai la fama, mica non puoi essere stronzo.
E sì, il problema sei proprio tu.

 

*Si è scelto di usare i pronomi femminili per confrontarsi con più agilità con il discorso e il lessico della p38. Il plurale femminile é da considerarsi inclusivo di tutte le soggettività che non si riconoscono nel maschio cishet.

QUALCHE CONSIDERAZIONE SULLO SCANDALO DELL’ESCLUSIONE

Riceviamo e diffondiamo un CONTRIBUTO RELATIVO ALLA RIFLESSIONE SUL DIBATTITO ANARCHICO A PARTIRE DAI TESTI DIFFUSI DALLA fIERA DELL’EDITORIA E DELLA PROPAGANDA ANARCHICA DI ROMA – LINK IN ALLEGATO

 

“Da diversi anni giro nel contesto anarchico e sicuramente non sono estranea alla lettura di articoli su siti di movimento, né tantomeno al commentarli e confrontarmici su. Purtroppo capita che alcuni di questi, pur trovandoli di dubbio interesse in termini di contenuto, mi risultino poi utili a capire una tendenza oramai consolidata su cui penso sia arrivato il momento di soffermarsi.

Onestamente, sono convinta che non siamo d’accordo su quali siano le basi che dovrebbero accomunarci nell’ideologia anarchica e va bene discutere di questo, ma per favore facciamolo con quest’assunto. Io mi sento di rivendicare la scelta politica di organizzarmi per affinità e di scegliere in base a questa, come quella di diffondere contributi che considero interessanti in base al contenuto e alla persona che li produce. D’altra parte credo che ognun di noi si dia criteri più o meno definiti in questa direzione, altrimenti gli stessi blog non sarebbero più tali, ma piuttosto dei forum dove qualsiasi internetnauta direbbe la sua con o senza pertinenza con i concetti che si vorrebbe diffondere, o una “Fiera del Libro Anarchico” potrebbe trasformarsi in un “Salone dell’Editoria”, se vogliamo, indipendente. Ma diciamoci anche che di saloni del libro già uno ce n’è e basta e avanza. Io mi rivendico di scegliere di diffondere idee che condivido e di riunirmi con chi trovo affine nel voler distruggere ogni gabbia, sabotare la guerra, far fronte al suprematismo scientifico e l’avanzamento tecnologico e, soprattutto, riconoscere e abbattere il dominio umano, bianco e patriarcale.

Non vedo dove sia il problema in questo e anzi ringrazio chi si impegna a creare situazioni in cui ciò sia possibile.

Il tema dell’esclusione, d’altra parte, è un tema che sembra essere davvero caro a molti e su cui c’è chi prova a batter chiodo da molto tempo. Che sia per un’insidiosa FOMO (Fear Of Missing Out: Paura di perdersi qualcosa – e spiego a chi è più avvezzo al latino che questo sì, è un anglicismo, mentre un testo scritto in inglese per un evento di taglio internazionale è una scelta di renderne accessibile il contenuto) che colpisce gli umani con tendenza più sociale, o per una mera questione di principio, a me purtroppo ancora non è chiaro perché risulti una punizione così feroce e soprattutto un gesto irrivendicabile.

D’altra parte non mi sono mai posta il problema vedendo cacciare infami o gente che si è intascata soldi da casse benefit. E allora qua la domanda che mi sorge spontanea è: non siamo d’accordo sull’esclusione o sui motivi che spingono a questa? E se fosse la seconda ipotesi, perché allora non si parla di questo?

Trovo che la scelta di dirottare la discussione sui metodi, piuttosto che sul contenuto, sia fin troppo forviante. E quasi mi viene il sospetto che non sia un caso. Quel che sto riconoscendo in determinate argomentazioni è la tendenza a portare delle narrazioni di fatti in maniera già ben veicolata in termini di concetti da divulgare. Un tipo di narrazione oserei dire sfacciatamente mendace che credevo di attribuire all’informazione di regime e che mi imbarazza riconoscere in quella antagonista. Posso fare l’esempio di testi che han girato nell’internet che si riferiscono a psicosette transfemministe che avrebbero minacciato e aggredito fisicamente i loro oppositori, o a diffusioni di volantini raccontate come violenti blitz femministi. Mi sembra un po’ come quando la Stampa descrive un presidio sotto al carcere con qualche slogan e due torce come un incursione armata in cui decine di poliziotti restano feriti. Non saremo mica troppo abituati a leggere le carte dei nostri P.M.?

Questa necessità di inventar storie, ingigantirle o diffonderle, mi lascia davvero allibita. Immaginarmi, poi, intere collettività riunirsi a discutere attorno a queste fandonie mi fa rendere conto di quanto sia scarsa la capacità di certi individui di sviluppare un proprio pensiero critico, o comunque, di quanto sia forte questo senso di appartenenza, questa voglia di esser parte “del giro”.

Personalmente inorridisco quando vedo l’unione fare la forza a discapito del pensiero individuale e sono disgustata dagli atteggiamenti gregari e omertosi che ho visto mettere in atto negli anni. Mi dispiace davvero che il dibattito anarchico si trovi così povero di argomenti e contenuti.

Io, di mio, di fronte a giornalisti di ogni sorta e a chi si atteggia come tale, posso dire quel che ho pensato tante volte leggendo carte o giornali e cioè che, ancor più se la reazione è così spropositata, tantovale farsi sempre meno remore: vendetta feroce e violenta contro oppressori di ogni tipo, sbirri e stupratori.

                            Per l’anarchia.”

 

Link di riferimento:
https://rome-anarchistbookfair.espivblogs.net/testo-di-posizionamento/

https://lanemesi.noblogs.org/post/2025/04/07/la-disputa-del-sacramento/
https://ilrovescio.info/2025/04/02/lettera-aperta-sullinvito-alla-fiera-delleditoria-e-propaganda-anarchica-di-roma-di-juan-sorroche/